Nella notte del 20 Aprile del 1986, ci fu il più grave avvenimento nucleare, un reattore della centrale nucleare di Chernobyl, in Ucraina, esplose, rilasciando radiazioni di circa 20 volte maggiori rispetto a quelle di Hiroshima e Nagasaki, arrivando in tutta Europa e portando alla morte di circa 4000 persone.
Anche in Italia il 30 Aprile venne dato l’allarme: nessuno poteva uscire di casa più del dovuto, se pioveva bisognava per forza usare un ombrello perché anche la pioggia poteva contenere delle radiazioni e non si potevano più mangiare frutta e verdura perchè anche la terra era contaminata e nemmeno bere il latte.
Da allora l’area “contaminata” e abbandonata di Chernobyl è una zona rigogliosa dal punto di vista di flora e fauna nonostante le radiazioni; infatti a 33 anni da quel disastro ci sono orsi, volpi, cavalli, uccelli e lupi.
Sui lupi detti “i cani di Chernobyl”, ci sono stati degli studi che hanno portato a constatare che col tempo sono riusciti a modificare geneticamente il loro DNA per adeguarsi all’ambiente e quindi ad avere una resistenza al cancro, scoperta interessante per contrastare la malattia sugli uomini.
Nonostante la centrale nucleare prendesse il nome di Chernobyl, la città più vicina era Pripyat, a soli 2 chilometri.
Pripyat nasce nel 1970 e all’epoca era chiamata città dei fiori per l’abbondanza di aiuole ed era stata costruita per i dipendenti della centrale nucleare ed i loro familiari; era una città molto fiorente, moderna e con tutti i tipi di comfort.
Ora Pripyat è detta la città fantasma.
Questo perché 36 ore dopo l’accaduto vennero mandati apposta degli autobus per far evacuare tutti i 50000 abitanti a cui dissero che era una cosa temporanea e precauzionale invece nessuno vi fece più ritorno.
Oggi, ci sono ancora circa 400 persone che vivono nelle campagne circostanti perché si erano rifiutate di lasciare le loro case e purtroppo, si cibano di alimenti altamente inquinanti ed hanno problemi fisici e psichici.
A non più di 10 km dalla centrale di Chernobyl c’era la Foresta Rossa chiamata così perché i pini a causa delle radiazioni divennero appunto rossi e poi morirono.
La zona venne bonificata ma nonostante questo ad oggi rimane una dei posti più contaminate al mondo.
Incredibilmente invece, altre foreste rimasero verdi e sopravvissero, erano foreste di betulle e pioppi.
In questi ultimi anni si è sviluppato il “turismo” in quanto si possono acquistare dei tour da Kiev che offrono una visita all’interno di questa zona vietata; viene dato un dosimetro che avverte della radioattività, emettendo suoni quando si arriva ad una soglia di rischio.
Tra i vari testimoni di questo disastro c’è Diana Medri, nata nel 1989 a Krasnopole, a 300 chilometri da Chernobyl.
Diana racconta che per molti anni lei e gli altri bambini sopravvissuti sono stati i “bambini di Chernobyl”, bambini di cui tutti avevano paura e da cui stavano lontani; addirittura c’era chi li lasciava al buio per vedere se si illuminavano!
I paesi europei si sono mossi subito creando associazioni per ospitare questi bambini e questa fu la sua fortuna perché trovò così la sua famiglia adottiva.
Si potrà tornare a vivere in quella zona dove ora non c’è nulla? Secondo alcuni studi lo si potrà fare tra circa 24000 anni.
Diana Medri
La città di Pripyat al giorno d’oggi
I lupi di Chernobyl
Siti: www.vita.it; tg24.sky.it; www.ilsole24ore.com